COSE DI NONNA....

PER TUTTI I PICCOLI DI ETA’ E DI CUORE

Raccontare “storie” è un po’ il mio mestiere e figuriamoci se non mi piace ancora di più esprimermi con quattro nipo sciamannati ma mooolto piccoli , i quali, tra l’altro, non si accorgono delle gaffes di nonna e, soprattutto apprezzano le ripetizioni e non le considerano segno di deterioramento fisico e mentale della narratrice decana , ma strumento utile di apprendimento e perciò, le richiedono, anche a gran voce! WOW!

Ecco, spesso scelgo una fiaba conosciuta: Cappuccetto Rosso, Biancaneve, Cenerentola, I tre porcellini (perché ascoltiamo anche la canzoncina), La principessa Aurora (già conosciuta come:“La  bella addormentata nel bosco”) che fa la gioia e l’orgoglio di Aurora; altre volte riesumo il repertorio delle filastrocche dell’infanzia mia o dei loro genitori, altre volte ancora attingo ai bans di oratorio con qualche senso di colpa (non si annoieranno mica quando in oratorio andranno a loro volta?), ci sono poi momenti in cui, invece, devo inventare qualcosa di nuovo per insegnare, magari, una cosa nuova a tutti, ma in particolare ad Aurora che è molto sensibile alle storie e si ricorda di tutte e di tutti i personaggi, per cui guai a dimenticare un particolare o un nome!

Adesso ci provo, perciò: metto per iscritto tutte le storie, così non rischio di dimenticare qualche particolare importante.



PRINCIPINI E PRINCIPESSE

C’erano una volta: una principessa di nome Aurora, un principino di nome Leo, una principessa di nome Martina e una principessina piccolina, ma piccolina, di nome Chiara.
Aurora, Leo e Chiara erano figli di regina Agnese e di re Davide (non quello della Bibbia, un altro), mentre Martina era figlia di regina Lucia e di re Daniele.
Si volevano tutti molto bene e si divertivano a comandare “a bacchetta” come fanno tutti i principini che si rispettino.
A volte usavano come scettro un acchiappamosche di vari colori: arancione, giallo, blu…
Usavano lo scettro per sculacciare nonni o genitori disobbedienti e a volte lo usavano anche per giocare tra loro picchiando tutti sulla testolina!
Principessa Aurora, la più grande, era anche la principessa delle scarpe col tacco che rubava a nonna e con quelle o con gli scarponi “delle sette leghe” di nonno Sergio, camminava e si dava un sacco di arie. Principessa Aurora non sapeva, però, che la “mania delle scarpe” era una malattia infettiva che passò agli altri principini e fu così che nonna si ritrovò con scarpe belle usatissime e spesso parcheggiate….ai bordi della piscina da giardino, con grande pericolo di bagnarsi!!!
Principe Leo portava sempre con sé un “tappo” a forma di succhiotto che gli serviva per pensare e per nascondere il suo bel sorriso che regalava solo a qualcuno. Se gli veniva da piangere o se non voleva parlare, il “tappo” bloccava ogni incantesimo negativo e lui se ne andava fiero.
Principessa Martina, detta anche “Riccioli d’oro”,  portava in testa un ciuffo di riccioli d’oro e sorrideva sempre. Le piacevano i baciotti e le coccole, ma non si lasciava mai sopraffare: era lei a decidere sempre cosa fare e con chi! Era tenerissima con principessa Chiara, ma affettuosa con Aurora che imitava e paladino di principe Leo: guai a prendere qualcosa di suo! Lei lo difendeva!!
Principessa Chiara era la più piccina e per questo si prendeva le coccole di tutti e nessuno la sgridava mai. Chiacchierava e rideva sempre e le piacevano le smorfie e le mosse degli altri principini, perciò, visto che non poteva ancora correre come loro, li seguiva con lo sguardo finché poteva, poi…..protestava finchè qualcuno la prendeva in braccio e la portava in giro ad esplorare il mondo!
Così ridendo e così scherzando il tempo passava giocando e mangiando
E i principini in mezzo a un gran chiasso andavano in giro in alto e in basso.
Spesso Principe Leo, se aveva in mano qualunque cosa, si divertiva a gettarla di sotto, magari da un balcone.
A tutti, ma proprio a tutti, piacevano i telefoni di tutti i tipi, tranne quelli giocattolo. Tutti conoscevano la differenza tra un telefono vero e un giocattolo, perciò nessuno li poteva imbrogliare!
Principessa Aurora aveva imparato per prima a parlare al microfono e diceva cose che spesso (anche se non sempre) si capivano.
Principe Leo aveva imparato a dire “Ciao” e così pure faceva principessa Martina che a volte, riusciva anche a comporre un numero vero e a chiamare qualcuno (anche Leo sapeva farlo).
Succedeva anche che i telefoni cadessero a terra e si….smontassero, così poi, per un po’ non si poteva più giocare! Da questo si salvava solo principessina Chiara, ma solo perché era ancora troppo piccola! Ma sarebbe durato poco..
Comunque c’erano altri giochi belli da fare: in casa si poteva portare qualche pupa in passeggino o in carrozzina, o si spargevano le costruzioni o si attivavano i cartoni o le musiche e si cantava e si ballava. Si poteva disegnare, ma non sui muri (chissà poi perché…?). Neppure sui vetri né sui divani si poteva disegnare! Eppure era così divertente!
Insomma: mamma, papà, nonni e zii, tutti dicevano che si poteva scrivere solo sui fogli di carta…Sì ma qualcuno ogni tanto sfuggiva e allora…..vai! Quanti bei colori….dappertutto!
Un giorno dalla pancia di regina Agnese e di regina Lucia, nacquero altri due principini: Principessa Alessandra e principe Samuele. Erano bellissimi: piccoli e simpatici e i principini più grandi si divertivano a coccolarli, si sedevano e le loro mamme li mettevano loro in braccio, li cullavano con...energia, fecero in modo che ridessero presto, molto presto e...anche molto presto, i due principini, ebbero un angioletto protettore che svelto svelto raggiunse il Cielo per proteggerli e coccolarli di lassù, con tutti gli altri angioletti già accorsi per l'occasione. L'angioletto si chiamava zia Santina. Prima coccolava i principini in casa, ma visto che erano diventati così tanti, pensò bene che una visione più ampia, dal Cielo, per l'appunto, sarebbe stata più utile e...provvide! Così Gesù Bambino portò anche questo dono ai principini!

Passarono cosìquattro anni, ma un bel giorno, regina Agnese si mise a vomitare tanto tanto così che principessa Aurora ....... capì che stava succedendo qualcosa di strano e mise tutti sull'avviso, ma, come al solito, a crederle furono solo i.... grandi perchè a loro Regina Agnese lo disse... Cosa? Che nella sua pancia stava crescendo un bimbo... o una bimba.... chissà.... povera principessa Aurora! Nessuno credeva a lei! Ma lei ormai il segreto lo conosceva! Ecome! Passava tanto tempo con la sua mamma, adesso, perchè voleva rubarle tutto il suo bene! Eh sì! Perchè in realtà lei aveva avuto poche occasioni per dire a mamma quanto le voleva bene!





STORIE CLASSICHE


CAPPUCCETTO ROSSO
BIANCANEVE E I SETTE NANI
IL TAMBURINO MAGICO
GIAN PULIET
LE STORIE DI POOH
LA PRINCIPESSA AURORA
CENERENTOLA
MARCELLINO PANE E VINO
LA VOLPE E L'UVA
IL PESCE MAGICO
IL LUPO E I SETTE CAPRETTI
L'ARCA DI NOE'
BARBABLU
VASSILISSA RAGGIO DI SOLE
TRE FANCIULLI GUARDANO IN CIELO
POLLICINO
LA PRINCIPESSA SUL PISELLO
HANSEL E GRETEL


CANZONCINE E FILASTROCCHE:

SIAM TRE PICCOLI PORCELLIN

AUGURI AUGURI AUGURI…

PIANTA LA FAVA
IL GRILLO E LA FORMICA
CI SON DUE COCCODRILLI
SIAMO ANDATI ALLA CACCIA DEL LEON
IL COCCODRILLO COME FA?
BABBO NATALE CHE SCENDE DAL TETTO
LE TAGLIATELLE DI NONNA PINA
LE MUCCHE FANNO MUUU
REUL REUL…
NINNA NANNA DEL CHICCO DI CAFFE’
LA BARCHETTA IN MEZZO AL MARE…
FARFALLINA…
SE SEI FELICE…
IL MOSCHITO
LA BELLA LAVANDERINA
GIRO GIRO TONDO
CHICCOLINO DOVE VAI?
TROT TROT CAVALOT
TAITA BURATIA
DIN DALAN
SOTTO IL PONTE DI BARACCA
POESIE DI RODARI



















STORIE DI NONNA

Questa prima storiella l’ho scritta quando Lucia e Agnese erano bimbe:

Due micetti mattacchioni

S’accapigliano birboni

Sul tappeto in cameretta

Ma per gioco e senza fretta.
E si buttano per terra
E si tirano i capelli
E poi ridono e mugugnan
E poi lanciano striletti.
Uno sotto e l’altro in groppa
E poi giù
Un bel ruzzolone
Uno scappa e l’altro corre.
Sotto l’armadio
E poi sopra il letto
E con un balzo di nuovo giù
Ma che birboni questi micetti:
sembra non debbano smettere più!
Ma ecco qua mamma, ecco papà
A loro presto in braccio si va!
E il micio biondo e il micio moretto
Con qualche coccola
Se ne vanno a letto.


SIMONE PASTICCIONE


Simone pasticcione
Giocava col sapone
Giocava a far  pasticci
Con l’acqua e col bicchiere
Faceva anche capricci
Rischiava di cadere
Se l’acqua andava in terra
Poteva scivolare
Scoppiava un gran guerra
Se si doveva asciugare!
Ma mamma gli diceva
“Simone
fa’ attenzione!
Con le dita bagnate
Non toccare i buchetti
Dove passa la corrente
Non toccare proprio niente!”
E Simone pasticcione
Per un po’ fece attenzione
Ma un bel dì
Il dito bagnato
Gocciolante mise lì.
Che lampo!
Che dolore
Che paura!
Ecco la fregatura!
Venne anche il dottore
Che gli fece una puntura!
E Simone pasticcione
Né con l’acqua né col sapone
Mise più il suo ditino
Dritto dritto nel buchino
Imparò a fare attenzione:
“La corrente fa gran male
E se scordi la lezione
Puoi finire all’ospedale!”





MAGO GELO


Mago Gelo vien dal Polo
Di folletti ha un grande stuolo
Tutti svegli e biricchini
Per giocar con i bambini.

Dispettosi e mattacchioni
Come vento dan spintoni
Freddi come candelotti
Tirano gelidi pizzicotti.

Han le mani piccoline
Che s’infilan dappertutto
Su su su per le braccine
Tra la maglia ed il cappotto.

I bimbetti un po’ arrossati
E così pizzicottati
Si divertono contenti
Di giocar con questi venti.

Naso e guance rossi e freddi
Non s’accorgono neppure
Che la sera è giunta ormai
Presto e gelida assai.

E i folletti ormai son stanchi
Anche loro a nanna vanno
Ed i lor mantelli bianchi
Su orti e prati stenderanno.

Così i bimbi la mattina
Dopo fatta colazione
Scendono a toccar la brina
E Mago gelo fa lezione.

 A GESU’ BAMBINO


Gesù Bambino caro
Gesù Bambino bello
Ne devi convenire
Parlare con te sempre
Mi sembra complicato.
Su dimmi: dove stai?
Non so dove guardare!
A correr come fai,
se gambe braccia e corpo
mi dicono non hai?
Sei proprio poverello
Oramai l’ho capito,
mi sembri anche un po’ strano,
sarai mica malato?
Ascoltami, Gesù,
dovunque sei andato,
se un giorno tu potessi
venire a casa mia,
io ti farei giocare,
ti farei divertire.
Ti presterei i miei giochi
E senza protestare!
Faremmo una meranda,
ti potrei coccolare.
Dammi retta Gesù,
su, vienimi a trovare
e se corpo non hai,
….ma fattelo imprestare!
Ed una cosa ancora:
dimmelo che sei tu,
che non ti mandi via
non ti dia pizzicotti:
così, senza saperlo,
potrei trattarti male!
O non vorrai, per caso,
che sia gentile sempre,
nel dubbio che sia tu
ogni bimbo che viene??



Gesù, ma dimmi un po’:
facevi i capriccetti?
Li davi i pizzicotti,
mangiavi la minestra,
se mamma ti parlava,
subito le obbedivi,
non combinavi guai???
Gesù, ma dimmi un po’,
neanche un difettuccio
nemmeno uno piccino
avevi da bambino?
Ti prego, dimmi che
Un capriccetto solo
L’hai fatto un po’ anche tu
Quand’eri piccolino!
Se mi venissi incontro,
potrei provarci anch’io:
un difettuccio per te,
un fiorettino per me!

FOGLIOLINA


Fogliolina caduta e seccata
Dimmi un po’
Non ritorni mai più?
Sono foglia ma poi sarò terra
Sarò cibo per una piantina,
sarò linfa e sarò fogliolina
e ritorno di nuovo farò.
Fogliolina caduta e seccata
Il mio nonno che in cielo è lassù
Dimmi un po’:
non ritornerà più?
Chiudi gli occhi mio dolce piccino
Chiama il nonno che qua non è più
Il sorriso di lui rivedrai
La sua voce sentire potrai:
“Stai tranquillo amore mio santo
che da te
non mi allontanerò.
Se il mio corpo
Era fatto di terra
La mia mente ora vola con te
Nei tuoi cari pensieri di bimbo
Nei tuoi sogni
Per sempre starò.”

 

 

LUMACHINA

Lumaca lumachina
Tira fuori i tuoi cornetti
Sono belli
Lunghi lunghi
Li vorrei prorio un po’ anch’io.
Guarda un po’ come cammini
Strisci, come un vermicello
E poi quella schiuma chiara
Cosa è mai mia lumachina?
Stai attenta a non cadere
Che ti rompi la casina!
Su riprova a camminare
Che lo sai che sei bravina!
Lumaca lumachetta
Tira fuori la cornetta
Che giochiamo a nascondino
Con la tua bella casetta!

PURUPUPETA


Quando zia Santina era piccola, era una vera discola: combinava guai, non disdegnava di fare a botte con chiunque e non si curava troppo di mostrarsi obbediente e rispettosa dei grandi.
Una volta, all’asilo, aveva dato un morso ad un suo compagno che chissà cosa le aveva combinato!
La suora – maestra, perciò, per punirla, le aveva messo una corda a mò di guinzaglio intorno al collo e l’aveva legata alla cattedra dicendole: “hai voluto comportarti come un cagnolino? Ora lo sei diventato veramente” Credete che zia Santina fosse rimasta mortificata? Neanche per sogno! Non appena la suora si fu allontanata per un momento, lei cominciò ad abbaiare e a latrare come un cane vero: non era questo che volevano da lei, forse?
La suora, al suo ritorno, però, non si comportò con spirito proprio per niente e la punì ancora più severamente rinchiudendola nello stanzino di ….PURUPUPETA!!
Quello era il posto peggiore di tutto l’asilo: il terrore di tutti i bimbi, meno che, manco a dirlo, di zia Santina. Lì dentro, infatti, c’era già una povera bimba spaventata che lei consolò subito: lo stanzino era buio, sì, ma dopo un po’, zia adocchiò un bel barattolo con dentro le pastiglie di zucchero colorato che le suore distribuivano durante i giochi e, salita su di una sedia, le mangiò tutte con la sua compagna che si era un po’ consolata! Che brava bimba generosa era zia Santina!
Ma lo stanzino di Purupupeta, conteneva un’altra cosa spaventosa: da un buco nel muro, spuntava una calza lunga, piena di stracci, appesa ad un pezzo di legno, che una suora, ogni tanto, dalla stanza vicina, andava a far muovere per spaventare i bimbi in castigo: tutti sapevano, infatti, che quella era la gamba di Purupupeta che cercava di andare a prendere i bimbi cattivi!
Tutti, ma proprio tutti ci cascavano, solo una bimba no! Zia Santina: quella volta salì su una sedia, aiutata dalla povera bimba in lacrime, afferrò la calza e la tirò giù, sfatando così la leggenda del mostro che va a prendere i bimbi cattivi! Povere suore: non c’era niente di sacro con quella birbona tra i piedi!!!

FIABE E LEGGENDE

VASILISSA LA BELLA


Leggenda Popolare Russa


Sotto il dominio degli Zar, al di là di alte catene montuose, viveva una volta un commerciante all'ingrosso; era sposato da dodici anni, ma in tutto quel tempo aveva avuto solo una bellissima figlia cui aveva dato nome Vasilissa.

Quando la bambina ebbe otto anni, la madre si ammalò gravemente e un giorno la chiamò accanto a sé, prese una minuscola bambola di legno da sotto la coperta, gliela mise fra le mani e le disse: 


"Mia piccola Vasilissa, mia cara figlia, ascolta quel che ti dico, ricorda bene le mie ultime parole e sforzati di eseguire i miei desideri. Io muoio, e assieme alla mia benedizione, ti dono questa piccola bambola. È molto preziosa, non ne esiste un’altra uguale nel mondo intero. Portala sempre con te, nascosta nella tua tasca e non la mostrare mai a nessuno. Quando qualcosa di malvagio ti dovesse minacciare o ti capitasse un dolore, va’ in un angolo, toglila dalla tasca e dalle qualcosa da mangiare e bere. Dopo che avrà mangiato e bevuto un poco, le racconterai le tue difficoltà e le chiederai consiglio e lei ti dirà come agire".



Detto questo la benedisse, la baciò sulla fronte e spirò.



La piccola Vasilissa era molto addolorata e il suo dolore era cosí profondo che quando scese la notte scura, nel suo lettino, piangeva e non riusciva a prendere sonno.

Ad un certo punto però, si ricordò della piccola bambola, si alzò e andò a prenderla dalla tasca del suo vestitino, trovò un pezzo di pane di frumento ed una tazza d’acqua, glieli offrì e pianse: "Mia piccola bambola, mangia e bevi e ascolta il mio dolore. La mia cara madre è morta e io sono tanto triste e sola.".



Gli occhi della bambola cominciarono a brillare come lucciole e diventò improvvisamente viva. Mangiò un pezzetto di pane e bevve un sorso d’acqua e quando ebbe mangiato e bevuto, disse:

"Non piangere, piccola Vasilissa. Il dolore è peggiore, di notte. Sdraiati, chiudi gli occhi e cerca di dormire. La mattina è più saggia della sera."

Così la bella Vasilissa, un po’ confortata, si sdraiò e riuscì a dormire. L'indomani il suo dolore non era più cosí profondo e le sue lacrime erano meno amare.



Dopo la morte della moglie, il commerciante si diede pena per molti giorni, com’era giusto, ma alla fine avvertì il desiderio di sposarsi di nuovo e cominciò a guardarsi attorno per trovare la moglie più adatta. La cosa non fu molto difficile, dato che possedeva una casa molto bella con una scuderia di ottimi cavalli ed era egli stesso un brav'uomo che aveva sempre fatto beneficenza ai poveri.

Fra tutte le donne che incontrò, tuttavia, quella che gli sembrò la più adatta era una giovane vedova che aveva due figlie; gli parve che oltre ad essere una buona governante, avrebbe potuto essere anche una madre adottiva gentile per la sua piccola Vasilissa.

Il commerciante sposò dunque la vedova e la portò a casa sua, ma la bambina presto capì che la madre adottiva era molto lontana dall’essere come suo padre aveva creduto. Ella era, infatti, una donna fredda e crudele che l’aveva sposato solo per la sua ricchezza e non provava alcun affetto per sua figlia.



Vasilissa era la ragazza più bella del villaggio, mentre le figlie della donna assomigliavano più a due spaventapasseri, per questo tutte e tre le donne l’invidiavano e la odiavano. Le affidavano gli incarichi più pesanti e difficili, affinché il duro lavoro sciupasse l’esile figuretta e il suo viso perdesse freschezza, aggredito dal sole e dal vento e la trattavano così crudelmente che la sua vita aveva ormai ben poche gioie.


La piccola Vasilissa sopportava tutto senza un lamento, anzi diventava ogni giorno più bella, mentre le sorellastre crescevano sempre più brutte e magre, malgrado non avessero mai dovuto uscire nel freddo e nella la pioggia e passassero le giornate sedute con le mani in mano. 
Com’era possibile? 

Il merito era tutto della piccola bambola, senza il cui aiuto Vasilissa non sarebbe mai riuscita a sopportare tutto ciò. Ogni notte, quando tutti dormivano, prendeva dall’armadio la bambola, le offriva qualcosa da mangiare e da bere e le sussurrava:
"Ecco, mia piccola bambola…mangia un poco, bevi un poco e ascolta il mio dolore. Vivo nella casa di mio padre, ma la mia dispettosa matrigna mi rende la vita un inferno. Come mi devo comportare…cosa posso fare?" 
Allora, con gli occhi che brillavano, la bambolina prendeva vita e dopo aver mangiato e bevuto un po’ di quello che la fanciulla le offriva, le consigliava come comportarsi… poi, mentre Vasilissa dormiva, svolgeva i lavori per l’indomani: ripuliva il giardino dalle erbacce, innaffiava i cavoli, faceva provvista d’acqua e puliva le stufe, pronte per essere accese. Inoltre le aveva anche insegnato a preparare con dell’erba curativa un unguento per proteggersi la pelle dalle intemperie.
Tutta la gioia nella vita di Vasilissa consisteva nella minuscola bambola che teneva sempre in tasca.

Gli anni passarono e Vasilissa raggiunse l’età da marito.
Tutti i giovani del villaggio, grandi e piccoli, ricchi e poveri, avevano chiesto la sua mano, mentre si erano ben guardati dal fare altrettanto per le due sorellastre. Questo, naturalmente, aveva ancor più irritato la matrigna, perciò ad ogni pretendente rispondeva con queste parole: "La più giovane non si sposerà mai prima della più vecchia!" ed ogni volta per calmare la propria rabbia, maltrattava la figliastra. 
Così, nonostante si facesse ogni giorno più bella e graziosa, Vasilissa era spesso molto triste e solo la sua bambolina poteva confortarla.

Un brutto giorno, il commerciante dovette lasciare il paese per recarsi molto lontano, perciò salutò la moglie e le figliastre, baciò Vasilissa e le diede la sua benedizione raccomandandole di dire ogni giorno una preghiera per lui.
Non era ancora fuori di vista dal villaggio che la moglie aveva già venduto la casa e si era trasferita con tutte le sue cose in una dimora sul limitare di una tenebrosa foresta. Mentre le sorellastre stavano in casa, Vasilissa era costretta a correre da un capo all’altro del bosco per portare a casa fiori e bacche o piante rare che la moglie di suo padre le ordinava di cercare.

Nel profondo di quella foresta c’era una verde radura e in mezzo alla radura una strana misera capanna, costruita su delle zampe di gallina, dove viveva Baba Yaga, una vecchia strega. Nessuno osava avvicinarsi alla capanna perché la strega si mangiava la gente così come si mangiano i polli! La matrigna, che lo sapeva bene, mandava ogni giorno Vasilissa nella foresta, sperando che la strega la incontrasse e la divorasse, ma ogni giorno la ragazza tornava a casa sana e salva perché la bambolina le indicava dove crescevano i fiori e le piante rare e non le permetteva mai di avvicinarsi alla capanna. 
L’odio della matrigna verso di lei cresceva ogni giorno di più!

Una sera d’autunno, la donna chiamò a sé le tre ragazze e ad ognuna diede un incarico: una delle sue figlie avrebbe dovuto fare un merletto, l’altra una maglia e Vasilissa filare del lino. Lasciò una sola candela accesa nella stanza da lavoro, nascose tutte le altre, e se ne andò a dormire.
Le ragazze lavorarono per un’ora, per due ore, per tre ore…quindi la ragazza più grande, d’accordo con la madre, con la scusa di raddrizzare lo stoppino della candela, la spense.

"Che cosa facciamo adesso?"” chiese la sorella "Non ci sono altre candele in casa e non abbiamo ancora finito il lavoro!"
"Dobbiamo andare a cercare un po’ di fuoco" le rispose la sorella: "L’unica casa qui intorno è la capanna nella foresta, dove vive Baba Yaga. Una di noi deve andare a farsi dare un po’ di fuoco da lei".

"Io ho abbastanza luce per i vedere i miei spilli d’acciaio," disse quella che faceva il merletto "e non ci andrò". “E io ho abbondante luce per i miei aghi d'argento, "disse l’altra, che lavorava a maglia "e non andrò nemmeno io!" "Tu, Vasilissa, andrai a prendere il fuoco. Tu non hai né spilli d’acciaio né aghi d'argento e non puoi vederci a filare il tuo lino". Ed entrambe si alzarono, spinsero Vasilissa fuori di casa e chiusero a chiave la porta gridando "E non tornare finché non avrai il fuoco!"
La giovanetta si sedette sulla soglia, prese la piccola bambola da una tasca e dall'altra la cena che aveva con sé e gliela offrì dicendo:
"Ecco, mia piccola bambola, mangia un poco e ascolta il mio dolore. Devo andare alla capanna della vecchia Baba Yaga nella foresta scura per prendere a prestito del fuoco e temo che mi mangerà. Dimmi! Che cosa devo fare?"
Gli occhi della bambola cominciarono a brillare come due stelle ed essa prese vita, mangiò un pochino e disse: "Non temere, piccola Vasilissa. Vai dove ti hanno detto. Mentre sono con te la vecchia strega non ti farà alcun male"”. Così Vasilissa ripose la bambola nella tasca, e si addentrò nella foresta scura e selvaggia.

In mezzo agli alberi era molto buio e ciò non contribuiva certo a calmare la sua paura!
Improvvisamente udì un rumore di zoccoli e vide arrivare un uomo a cavallo. Era tutto vestito di bianco, il cavallo era bianco-latte e i anche finimenti erano bianchi, e come le passò accanto, calò il crepuscolo.

Vasilissa andò avanti ancora un po’ e di nuovo sentì rumore di zoccoli ed un altro uomo a cavallo si avvicinò. Era vestito tutto di rosso e il cavallo era rosso come il sangue e anche i suoi finimenti erano rossi, e come le passò accanto, sorse il sole.

Vasilissa aveva camminato tutto il giorno e si era persa. Non riusciva a trovare nessun sentiero in tutto quel buio e non aveva più cibo da offrire alla piccola bambola per renderla viva.

Se camminò poco o tanto, se la strada era liscia o accidentata non lo sappiamo, fatto sta che verso sera, improvvisamente, sbucò nella verde radura dov’era la strana misera capanna costruita sulle zampe di gallina. Il muro tutto intorno era fatto di ossa umane e sulla cima c’erano dei teschi. Nel muro c'era un cancello, e i suoi cardini erano ossa di piedi umani e le serrature erano delle mascelle con i denti affilati. 
Quella vista la riempì d’orrore e si arrestò, piantata a terra come un palo.

Mentre stava lì impalata, un terzo uomo a cavallo si avvicinò; la sua faccia era nera, era vestito tutto di nero, e il suo cavallo era nero come il carbone. Si avviò verso il cancello della capanna e scomparve, come se fosse sprofondato nel terreno. In quel preciso momento arrivò la notte e nella foresta il buio crebbe ancora di più…ma la verde radura non era al buio; gli occhi di tutti i teschi sul muro si erano illuminati ed erano così brillanti che il luogo era luminoso come di giorno. A quella vista Vasilissa tremava così tanto dalla paura che non sarebbe nemmeno potuta scappare!

All’improvviso il bosco si riempì di un rumore terribile; gli alberi gemevano, i rami scricchiolavano, le foglie secche turbinavano e Baba Yaga arrivò volando dalla foresta, in un gran mortaio di ferro che guidava con il pestello, e, man mano avanzava, con una scopa spazzava la scia che si lasciava dietro.
La vecchia strega arrivò fino al cancello, si fermò e scandì:
"O casetta, mia casetta, che ti reggi sui piedi che io ti ho dato, gira la schiena alla foresta e la faccia a me!"
La capanna si girò e si fermò davanti a lei. 
Poi annusò tutt’intorno e gridò: "Sento uno strano odore, odore umano. Chi c’è qui?"

Vasilissa, spaventatissima, si fece avanti e con un profondo inchino disse: "Sono soltanto Vasilissa, grande madre. Le figlie della mia matrigna mi hanno mandata da te per prendere a prestito del fuoco".
"Sì," disse la vecchia strega, "le conosco. Ma se vuoi che ti dia il fuoco, dovrai lavorare per me il tempo necessario per ripagarmelo, se no, ti mangerò per cena". 
Poi rivolta al cancello gridò:
"Solide serrature del mio cancello, sbloccatevi! Tu, mio robusto cancello, apriti!" 
Immediatamente le serrature si sbloccarono, il cancello si aprì e Baba Yaga passò fischiando. Vasilissa entrò dietro di lei e subito il cancello si richiuse e le serrature scattarono.

Come furono entrate, la vecchia strega si sdraiò sulla stufa e allungò le sue gambe ossute: "Presto, metti in tavola immediatamente tutto quello che c’è nel forno. Ho fame".
Vasilissa corse ad accendere una torcia di legno ad uno dei teschi sul muro e portò il cibo in tavola. Ce n’era abbastanza per tre uomini forti. Portò su dalla cantina anche del miele e del vino rosso, e Baba Yaga mangiò e bevve tutto, lasciando alla ragazza soltanto po’ di minestra di cavolo, una crosta di pane ed un piccolo boccone di carne.

Quando fu sazia e un po’ assonnata, la strega si alzò dalla stufa e disse: "Ascoltami bene e fa’ come ti dico. Domani, quando sarò uscita, pulirai il cortile, spazzerai i pavimenti e cucinerai la mia cena. Poi prenderai un quarto di misura di frumento dal magazzino e lo ripulirai da tutti i semi neri e i piselli selvaggi. Non dimenticare quello che ti ho detto, altrimenti ti mangerò per cena", poi si girò verso la parete e cominciò a russare e Vasilissa capì che si era addormentata. 

La ragazza si rannicchiò in un angolo, prese la piccola bambola dalla tasca, le offrì un po' di pane e di minestra che aveva conservato e, scoppiando a piangere implorò:
"Ecco, mia piccola bambola, mangia un poco e ascolta il mio dolore. Sono nella casa della vecchia strega, il cancello è chiuso a chiave e ho paura! Mi ha dato da fare tanti lavori difficili e se non faccio tutto per bene, domani mi mangerà. Dimmi: Che cosa devo fare?"
Gli occhi della piccola bambola si fecero lucenti come due candele. Mangiò un po’ di pane e bevve un sorso della minestra e disse: "Non aver paura, bella Vasilissa. Stai tranquilla. Di’ le tue preghiere e dormi. La mattina è più saggia della sera." 
Vasilissa, ancora una volta, si fidò della piccola bambola e si sentì subito confortata. Disse le preghiere, si sdraiò sul pavimento e si addormentò subito.

Quando si svegliò la mattina dopo, era ancora buio.
Andò a guardare dalla finestra e vide che il fuoco negli occhi dei teschi sul muro si affievoliva. Mentre guardava fuori, l’uomo tutto vestito di bianco, sul cavallo bianco-latte arrivò al galoppo da dietro l’angolo della capanna, saltò il muro e sparì.
Subito il cielo si fece chiaro e le luci nei teschi, tremolando, si spensero.

La strega era in cortile; fece un fischio e il mortaio di ferro, il pestello e la scopa arrivarono in volo dalla capanna. Mentre entrava nel mortaio, l'uomo vestito di rosso arrivò galoppando come il vento sul suo cavallo rosso fuoco, saltò il muro e sparì… e in quel momento il sole sorse.
Baba Yaga gridò: "Solide serrature del mio cancello, sbloccatevi! Tu, mio robusto cancello, apriti!" Le serrature si sbloccarono e il cancello si aprì e lei volò via nel mortaio, guidandolo con il pestello e scopando via la scia con la scopa.

Vasilissa, rimasta sola, esaminò la capanna chiedendosi com’era possibile che ci fosse tale abbondanza di ogni cosa, ma poi si ricordò di tutto il lavoro che l’aspettava. Si guardò attorno chiedendosi da dove cominciare, ma si accorse che il cortile era già stato pulito e i pavimenti spazzati e…la piccola bambola stava seduta nel magazzino intenta a togliere gli ultimi semi neri dal frumento.
La ragazza corse ad abbracciarla. "Mia bambolina cara! Mi hai risparmiato mille difficoltà! Adesso devo soltanto cucinare la cena per Baba Yaga perché tutto il lavoro è già fatto!"
"Vai a cucinare, con l’aiuto di Dio e poi riposati e stai allegra!" E così dicendo, la bambolina s’infilò nella tasca e ritornò ad essere di legno.

Vasilissa riposò tutto il giorno e verso sera apparecchiò la tavola per la cena della vecchia strega, poi sedette accanto alla finestra ad aspettare il suo ritorno.
Un attimo dopo sentì il rumore di zoccoli e vide il cavaliere nero sul cavallo nero come il carbone galoppare fino al cancello nel muro e scomparire come una grande ombra scura, ed immediatamente scese la notte. Gli occhi di tutti i teschi iniziarono a scintillare e a brillare, gli alberi cominciarono a gemere, i rami a scricchiolare, le foglie a turbinare e Baba Yaga arrivò volando nel grande mortaio di ferro che dirigeva con il pestello, spazzando la scia con la scopa.

Entrò e, odorando tutt’intorno, chiese: "Hai fatto tutto quello che ti ho detto…o devo mangiarti per cena?" "Puoi controllare con i tuoi occhi, nonna!" rispose la ragazza.
Baba Yaga esaminò dovunque con attenzione, battendo qua e là col suo pestello di ferro, ma la bambolina aveva lavorato così bene che non avrebbe proprio potuto trovare niente da ridire. Non c’era un’erbaccia nel cortile, né una macchiolina sui pavimenti e non c’era un solo pisello selvatico né un semino nero nel frumento.
La vecchia strega era molto irritata, ma si finse soddisfatta. "Bene," disse "hai fatto un buon lavoro." e battendo le mani, ordinò: "Su, miei servitori fedeli! Amici del mio cuore! Macinate in fretta il mio frumento!" 
Immediatamente apparvero tre paia di mani che raccolsero il frumento e lo portarono via…poi sedette a tavola e Vasilissa le servì la cena, con miele e vino rosso. 

La strega mangiò tutto, anche le ossa, fin quasi all’ultima briciola di quella cena che avrebbe potuto sfamare quattro uomini forti e, prima di appisolarsi con i piedi ossuti appoggiati alla stufa, le ordinò: "Domani farai gli stessi lavori di oggi e poi prenderai dal magazzino mezza misura di semi di papavero e li pulirai uno per uno. Qualcuno per farmi arrabbiare li ha mescolati con della terra ed io li voglio perfettamente puliti." Così dicendo si girò verso la parete e presto cominciò a russare.

Quando fu certa che dormisse, Vasilissa andò nel suo angolo, prese la bambolina dalla tasca, le offrì il poco che era rimasto della cena e le chiese consiglio. La bambola, diventata viva dopo aver mangiato e bevuto un po’, le disse: 2Non preoccuparti, Vasilissa bella! Fai come la notte scorsa: dì le tue preghiere e vai a dormire."
Così fece, e il mattino dopo si svegliò appena in tempo per vedere la strega volare via nel gran mortaio di ferro e l'uomo vestito tutto di rosso sul cavallo rosso fuoco saltare il muro, dopo di che il sole sorse sopra la foresta selvaggia.

Come la mattina precedente, tutto il lavoro era già stato fatto; la bambolina aveva pulito il cortile, i pavimenti sembravano di legno nuovo e non c’era un granello di terra fra i semi di papavero, perciò Vasilissa si riposò tutto il pomeriggio, preparò la cena e aspettò alla finestra il ritorno della strega.
Presto l'uomo in nero, sul cavallo nero come il carbone arrivò al cancello e calò il buio.
Gli occhi nei teschi illuminarono tutto come di giorno, poi la terra cominciò a tremare e gli alberi della foresta a scricchiolare e le foglie secche a svolazzare, e Baba Yaga arrivò nel suo mortaio di ferro, guidando col pestello e spazzando il sentiero con la scopa. 

Appena entrata annusò intorno ed ispezionò per bene la capanna, ma non riuscì a trovare nessun difetto nel lavoro e si arrabbiò più che mai. Batté le mani e gridò: "Sù miei servitori, amici miei! Spremete subito l’olio dai semi di papavero!" e le tre paia di mani apparvero, presero i semi di papavero e li portarono via.
Baba Yaga sedette a tavola e Vasilissa le servì la cena che aveva cucinato e che sarebbe bastata per cinque uomini robusti, portò miele e birra e poi rimase in piedi, silenziosa.
Baba Yaga mangiò e bevve tutto, senza lasciare niente di più grosso di una briciola, infine la apostrofò: "Bé, perché non dici niente e te ne stai lì come se fossi muta?" 

"Non parlo perché non oso."rispose Vasilissa "Ma se me lo permetti, nonna, vorrei farti qualche domanda." "Bene," rispose la vecchia strega, "ricorda soltanto che tante domande non portano a niente di buono. Se si sanno troppe cose, si cresce e s’invecchia presto. Che cosa vuoi sapere?"
"Ti vorrei domandare degli uomini a cavallo." rispose Vasilissa, "Mentre mi avvicinavo alla tua capanna, mi ha sorpassata un cavaliere. Era vestito tutto di bianco e il suo cavallo era bianco come il latte. Chi era?" "Era il giorno bianco e luminoso," rispose Baba Yaga irata. "E’ mio servitore, ma non può farti del male. Vai avanti." "In seguito è arrivato un altro cavaliere" continuò Vasilissa "Era vestito di rosso e anche il suo cavallo era rosso, come il sangue. Chi era?" "Era il mio servitore, il cerchio rosso del sole," rispose Baba Yaga digrignando i denti, "e nemmeno lui ti può ferire. Chiedimi qualcos’altro." "Un terzo cavaliere è venuto galoppando fino al cancello. Era nero, i suoi vestiti erano neri ed il cavallo era nero come il carbone. Chi era?" "Era il mio servitore, la notte nera e scura," rispose furiosa la vecchia strega "non ti può nuocere nemmeno lui. Chiedimi qualcos'altro!". 

Vasilissa, visto che ogni sua domanda aveva sortito una risposta rassicurante, stava in silenzio.
"Chiedimi di più!" gridò la strega. "Perché non mi chiedi di più? Chiedimi delle tre paia di mani che mi servono!". Ma Vasilissa, visto com’era arrabbiata, rispose: "Le tre domande mi sono bastate. Come hai detto tu, nonna, chi vuol sapere troppo diventa presto vecchio."
"È un bene per te che non mi abbia chiesto di loro," disse Baba Yaga, "ma solo di ciò che hai visto fuori della capanna. Se avessi chiesto di loro, le tre paia di mani ti avrebbero afferrato e, come le semenze di frumento e papavero, saresti diventata cibo per me! Adesso vorrei farti io una domanda: Come hai potuto, in così poco tempo, assolvere tutti i compiti che ti avevo dato? Rispondi!"
Vasilissa era cosí spaventata nel vedere come la vecchia strega digrignava i denti, che le disse tutto della bambola, ma le venne anche l’idea di aggiungere: "La benedizione di mia madre morta mi aiuti!" 
Baba Yaga diventò una furia: "Va' subito fuori di qui!" strillò "Non voglio che nessuno porti una benedizione oltre la mia soglia. Vattene!"
Vasilissa attraversò il cortile di corsa e sentì dietro di sé la strega urlare alle serrature ed al cancello. Le serrature si aprirono e il cancello si spalancò e in un attimo fu nella radura. Baba Yaga staccò dal muro uno dei teschi con gli occhi fiammeggianti e glielo lanciò dietro. "Ecco il fuoco per le figlie della tua matrigna. Portaglielo! Ti hanno mandata qui per quello, saranno contente adesso!"

Vasilissa appese il teschio in cima ad un bastone e uscì a razzo dalla foresta, correndo più che poteva. La luce che usciva dagli occhi ardenti del teschio, illuminava il sentiero e si spense solo quando fu mattina. 
Se corse poco o tanto, se la strada era liscia o accidentata non lo sappiamo, fatto sta che verso la sera dell’indomani, quando gli occhi del teschio iniziarono a luccicare, uscì dalla buia e selvaggia foresta davanti alla casa della sua matrigna. 

Mentre si avvicinava al cancello, pensava: "Certamente, dopo tutto questo tempo avranno trovato del fuoco" e lanciò il teschio oltre la siepe, ma quello le parlò: "Non mi buttare via, bella Vasilissa, portami dalla tua matrigna." La giovanetta guardò verso casa e non vide nessuna scintilla di luce in nessuna delle finestre, perciò raccolse di nuovo il teschio e lo portò con sé.

Da quando Vasilissa era andata via, la matrigna e le sue due figlie non avevano più avuto né fuoco né luce in tutta la casa. Quando colpivano la selce, l’esca non prendeva e il fuoco che avevano chiesto ai vicini, appena varcata la soglia, si era spento, di modo che non avevano più potuto illuminare o scaldarsi o cucinare per mangiare. Di conseguenza ora, per la prima volta nella sua vita, Vasilissa fu la benvenuta.
Le aprirono la porta e la moglie del commerciante fu molto contenta nel vedere che la luce nel teschio non si era spenta appena varcata la soglia. "Forse il fuoco della strega durerà." esclamò, e mise il teschio nella stanza migliore, lo sistemò su un candeliere e chiamò le figlie ad ammirarlo.
Ma gli occhi del teschio cominciarono improvvisamente a luccicare e a scintillare come carboni ardenti e dovunque le tre donne girassero o corressero le seguivano, diventando sempre più luminosi finché arsero come due fornaci così calde, ma così calde che la moglie del commerciante e le sue due figlie malvagie furono ridotte in cenere.
Soltanto Vasilissa la Bella non fu toccata. 

La mattina dopo, Vasilissa scavò una profonda buca nel terreno e seppellì il teschio, poi chiuse a chiave la casa e si recò al villaggio, dove aveva deciso di andare a vivere con una vecchina povera e sola e lì rimase per molti giorni in attesa del ritorno del padre. DOpo un po', stare tutto il giorno senza far niente cominciò a pesarle, così un giorno disse alla donna: "Mi annoio nonnina, le mie mani vogliono lavorare. Compra del lino, il migliore che si possa trovare, così almeno potrò filare."
La donna si affrettò a comprare il lino più bello e Vasilissa iniziò a filare. Lavorava così bene che il filo che ne veniva fuori era persino più sottile di un capello e presto ce ne fu abbastanza da cominciare a tessere…ma non esisteva un telaio capace di tessere un filo tanto sottile, a meno di costruirne uno apposta.

Allora Vasilissa andò nella sua stanzetta, prese la piccola bambola dalla tasca, le offrì da mangiare e da bere e chiese ancora una volta il suo aiuto. Dopo aver mangiato e bevuto ed essere tornata viva, la bambola le disse: "Portami un vecchio telaio, un cestino ed alcuni crini di cavallo e preparerò quello che ti serve."
Vasilissa si affrettò a portare tutto quello che la bambolina le aveva chiesto e, dopo aver detto le sue preghiere, andò a dormire. 
Alla mattina trovò ad attenderla un telaio fatto apposta per tessere il suo filo finissimo!

Lavorò al telaio per un mese, per due mesi, lavorò tutto l’inverno a tessere il suo bel lino e quando la tela fu finita era così fine e sottile che avrebbe potuto passare attraverso la cruna di un ago. 
A primavera Vasilissa la candeggiò e divenne così bianca che nemmeno la neve poteva reggere il confronto con il suo candore. Allora disse alla vecchina: "Prendi la tela e portala al mercato, nonna. Vendila e i soldi che ne ricaverai basteranno a pagare vitto e alloggio per me." Ma la donna, esaminando la tela, esclamò: "Non sia mai che io vada a vendere una tela simile al mercato; nessuno dovrebbe indossarla eccetto lo Zar, perciò domani la porterò a Palazzo."

L'indomani, infatti, si recò allo splendido Palazzo dello Zar e si mise a camminare avanti e indietro sotto le finestre. I servitori vennero a chiederle che cosa volesse, ma lei non disse niente, continuando a camminare avanti e indietro. Finalmente lo Zar in persona aprì una finestra, e chiese "Che cosa vuoi vecchia, che continui a camminare in su e in giù?"
"Oh mio Zar, Maestà," rispose la vecchina, "ho qui con me una meravigliosa stoffa di lino, così stupenda che non la voglio mostrare ad altri che a te."
Lo Zar ordinò di aprirle la porta e appena ebbe visto la stoffa di lino rimase colpito dalla sua bellezza e raffinatezza. "Quanto vuoi per vendermela?" "Non ha prezzo, Piccolo Padre, ma io te la voglio donare." 
Lo Zar, che non finiva più di ringraziarla, prese il lino e la rimandò a casa coperta di ricchi doni.

Arrivarono le sarte per confezionare con quella stoffa le camicie per lo Zar, ma quando fu tagliata era così fine che nessuna di loro si sentiva abbastanza abile da cucirla. Allora furono chiamate a Palazzo le sarte migliori del regno, ma nessuna osava metterci mano.
Alla fine lo Zar mandò a chiamare la vecchina e le disse: "Se sei stata capace di filare quel filo sottilissimo e di tessere quella delicatissima tela, saprai anche farne delle camicie!" Ma la donna rispose: "Maestà, non sono io che ho filato e tessuto, la tela è stata fatta dalla mia figlia adottiva."
"Allora portagliela," disse lo Zar "e chiedile di cucire per me."
La donna riportò a casa la tela e raccontò a Vasilissa dell’ordine dello Zar.
"Un buon lavoro deve essere fatto con le proprie mani." disse la ragazza e, chiusa nella sua stanzetta cominciò a cucire le camicie così velocemente e bene che ben presto ne fu pronta una dozzina e la vecchina si affrettò a portarle allo Zar.
Intanto Vasilissa si lavò il viso, si pettinò, indossò il suo abito migliore e sedette alla finestra ad aspettare gli eventi. 

Ben presto arrivò un servitore con la livrea di Palazzo che le disse: "Lo Zar desidera vedere l’intelligente cucitrice che ha fatto le sue camicie e ricompensarla personalmente."
Vasilissa si alzò e si diresse immediatamente a palazzo. Non appena lo Zar la vide s’innamorò di lei con tutta l’anima. Le prese dolcemente la mano bianca e la fece sedere accanto a sé. "Bella fanciulla," esclamò "diventerai mia moglie e non mi separerò mai da te."

Così lo Zar e Vasilissa la Bella si sposarono, il padre di lei tornò finalmente dal regno lontano e la vecchina visse con loro nello splendido Palazzo e tutti furono felici e contenti.

Ah, per quanto riguarda la piccola bambolina di legno, Vasilissa la portò nella sua tasca per tutta la durata della sua lunga vita! 



         


Ho visto un prato verde verde verde
http://www.youtube.com/watch?v=STsJhySVDkc&feature=related

BARBABLU
C'era una volta, nella bella terra di Francia,  un signore molto potente, il proprietario di immobili, aziende agricole e un grande castello splendido, e si chiamava Barbablù.Questo non era il suo vero nome, era un soprannome, dovuto al fatto che aveva una lunga barba ispido nero con riflessi blu in esso. Era molto bello e affascinante, ma, a dire la verità, c'era qualcosa in lui che faceva sentire  un po 'a disagio ...

Barbablù spesso se ne andava in guerra, e quando lo faceva, lasciava  l'incarico del castello alla moglie. Aveva avuto un sacco di mogli, tutte giovani, belle e nobili. Ma  la sfortuna aveva  voluto che, una dopo l'altra, fossero tutte morte, e così il nobile signore doveva sempre sposarsi di nuovo.
"Sire", qualcuno chiedeva ogni tanto, "per che cosa le vostre mogli muoiono?"
"Ah, amico mio," Barbablù rispondeva, "una è morta di vaiolo, una di una malattia nascosta, un'altra di una febbre alta, un'altra di infezione terribile ... Ah, io sono molto sfortunato, e sono anche sfortunate loro! Sono tutte sepolte nella cappella del castello ", aggiungeva. Nessuno trovava mai nulla di strano. Né la ragazza dolce e bella giovane che Barbablù aveva preso in moglie per ultima,pensava che fosse strano.
Andò al castello, accompagnata da sua sorella Anna, che le disse:
"Oh, non sei fortunata a sposare un signore come Barbablù?"
"E 'davvero molto bello, e quando sei vicina, la sua barba non sembra blu come si dice!", Rispose la sposa, e le due sorelle ridacchiarono divertite. Povere anime! Non avevano idea di cosa c'era in serbo per loro!
Un mese più tardi, Barbablù si fece portare la carrozza, e disse alla moglie: "Cara, ti devo lasciare per qualche settimana. Ma stai allegra durante quel tempo, invita chiunque lo desideri e prenditi cura del castello. Qui ", aggiunse, consegnando alla sua sposa un mazzo di chiavi ", avrete bisogno di queste, le chiavi della cassaforte, dell'armeria e le chiavi della libreria, e questa, che apre tutte le porte delle camere.
Ora, questa piccola chiave qui ", e indicò una chiave che era molto più piccola rispetto alle altre," apre la piccola stanza in fondo al corridoio grande al piano terra. 
Aprite qualsiasi porta vi piaccia, ma non questa! È abbastanza chiaro? "Ripetè Barbablù. 
"Non è questo!A nessuno è permesso  entrare in quella piccola stanza. E se mai vi entrassi, mi arrabbierei talmente che per te è meglio non farlo! "
"Non ti preoccupare,  marito", disse la moglie di Barbablù, come prese in mano le chiavi, "Farò come dici tu." Dopo averla abbracciata forte, Barbablù salì in carrozza, incitò i cavalli e se ne andò.
I giorni passavano. La ragazza invitò tutti i suoi amici al castello e mostrò loro  tutte le stanze, tranne quella alla fine del corridoio.
"Perché non dovrei vedere dentro la stanza piccola? Perché? Perché è proibito?" Be ', ci pensava così tanto che finì per scoppiare di curiosità, finché un giorno aprì la porta e entrò nella stanza un poco ... Di tutti gli orrori vide il più orribile! All'interno, appesi alle pareti erano i corpi delle mogli di Barbablù: le aveva strangolate tutte con le proprie mani!
 Colpita dal terrore, la ragazza corse fuori dalla stanza, ma il mazzo di chiavi scivolò dalla sua presa. Le raccolse senza neppure guardarle e si precipitò nella sua stanza, con il cuore che batteva all'impazzata nel petto. Orrori! Viveva in un castello di morti! Quindi questo era  ciò che era successo alle altre mogli di Barbablù!
La ragazza, poi, evocato il suo coraggio  si accorse che una delle chiavi - la vera chiave per la piccola stanza - era macchiata di sangue.
"Devo pulirlo, prima che mio marito torni!" Disse a se stessa. Ma provò e riprovò, come fare? La macchia di sangue non si lavava via. Si lavò, lavò la chiave, ma tutto invano, perché la chiave era ancora rossa! La sera stessa, Barbablù tornò a casa. Provate a immaginare in che  stato era la sua povera moglie !
Barbablù non chiese alla moglie  le chiavi quella sera stessa, ma osservò: "Sembri un po 'agitata, cara.  E' successo qualcosa di brutto? "
"Oh, no! No! "
"Ti dispiace che io sia tornato così presto?"
"Oh, no! Sono felice! "Ma quella notte, la sposa non chiuse occhio. Il giorno dopo, Barbablù disse:
"Cara, restituiscimi le chiavi", e sua moglie gliele diede in fretta. Barbablù osservò: " Ne manca una! La chiave della stanza piccola!"
"Non c'è?", chiese la ragazza in agitazione,
"Devo averla lasciata in camera mia!"
. "Va bene, vai a prenderla" Ma quando la moglie di Barbablù gli mise la chiave in mano, Barbablù diventato bianco e con  voce roca e profonda chiese:
"Perché  questa chiave è macchiata di sangue?"
"Non lo so ..." balbettò la moglie.
"Tu lo sai  molto bene!", Ribattè. "Sei andata nella stanzetta, non è vero? Bene, vi andrai di nuovo, questa volta per sempre, insieme con le altre signore che sono là! Devi morire! "
Barbablù con la spada, da Edmund Dulac
"Oh no! Vi prego! "
"Devi morire!", Ripetè Barbablù. Proprio in quel momento, qualcuno bussò alla porta, e Anna, la sorella della moglie di Barbablù   entrò nel castello.
"Buon giorno", disse, "mi sembri un po 'pallido."
"Niente affatto, stiamo abbastanza bene», rispose Barbablù.
Sua moglie gli sussurrò all'orecchio: "Per favore, per favore dammi dieci minuti di vita, ancora!"
Barbablù rispose: "Non più di dieci!"
La ragazza corse da sua sorella Anna, che era andata ad affacciarsi ad una delle torri e le chiese: "Anna, vedi i nostri fratelli a venire? Hanno promesso che sarebbero venuti a trovarmi, oggi! "
Ma Anna rispose: "No, non vedo nessuno. Cosa c'è di strano? Sembri agitata ".
"Anna, per favore," disse la ragazza scosso, "guarda di nuovo! Sei sicura che non si vede qualcuno? "
"No", ribattè la sorella, "solo uno o due contadini."
Proprio in quel momento la voce di Barbablù tuonò: "Moglie, il tuo tempo è scaduto! Vieni qui! "
"Io sto arrivando", rispose, ma poi disse alla sorella: "Oh Anna, non sono i nostri fratelli che arrivano ...?"
«No», rispose Anna. Ancora una volta Barbablù gridò.
"Vieni giù in fretta! Oppure vengo su!" La ragazza tremava come una foglia, ma scese le scale. Barbablù stringeva un grosso coltello e afferrò la sua sposa per i capelli ...
"Sorella, vedo due cavalieri in arrivo!" Gridò Anna dalla torre in quel momento.
Barbablù fece una smorfia orribile, "Anche loro moriranno!"
Sua moglie si inginocchiò per implorare, "Per favore, per favore non mi uccidete! Non dirò mai a nessuno quello che ho visto! Non dirò mai una parola!"
"Sì, non potrai mai dire una sola parola per l'eternità!" Ringhiò Barbablù, alzando il coltello.
La povera ragazza gridò: "Abbi pietà di me!"
Ma egli fieramente rispose: "No! Devi morire "Lui stava per calare il coltello sul collo delicato della ragazza, quando due giovani uomini irruppero  nella stanza: un drago ed un moschettiere. Erano i fratelli di sua moglie.
Sguainarono le loro spade, saltarono verso Barbablù, che cercò di fuggire su per le scale, ma venne catturato e ucciso. E quella fu la fine della triste storia.
Le  povere mogli di Barbablù ricevettero una sepoltura cristiana, il castello fu completamente rinnovato e la giovane vedova, qualche tempo dopo, sposò un uomo buono, onesto e giovane, che l'aiutò a dimenticare la terribile avventura. E quella giovane donna perse completamente  tutto il suo senso di curiosità.
http://youtu.be/ssquOM1q204
http://youtu.be/jzd75JI9J78
http://youtu.be/Xmq2ckUOsRA

TERREMOTO, CHE PAURA!!!
IN CASA 

BOLLE BOLLE IL MINESTRONE 
IN TV C'E' UN BEL CARTONE. 

TUTTO E' CALMO, STAMATTINA 
IN SALOTTO ED IN CUCINA 

MARCO ADESSO STA PER BERE 
UN FRULLATO NEL BICCHIERE 

MENTRE ANNA, LI' VICINO 
STA LEGGENDO UN GIORNALINO. 

SUL DIVANO GATTO SPILLO 
DORME, RUSSA E STA TRANQUILLO. 

MA AD UN TRATTO 
C'E' LA SCOSSA , 

FORTE FORTE 
GROSSA GROSSA. 

IN CUCINA ED IN SALOTTO 
GIA' SUCCEDE 

UN QUARANTOTTO 
BALLA LA TELEVISIONE, 

SUL FORNELLO IL MINESTRONE 
IL BICCHIERE DI FRULLATO 

SUL PIGIAMA SI E ' VERSATO 
E UN LIBRO, MAMMA MIA, 

CADE DALLA LIBRERIA 
MA OGNI BIMBO BRAVO E SAGGIO 

NON SI PERDE DI CORAGGIO 

E SA FARE, CALMO E LESTO 
OGNI COSA BENE E PRESTO. 

SOTTO AL TAVOLO IN CUCINA 
SI RIFUGIA LA BAMBINA. 

D'IMPROVVISO A SPILLO GATTO 
CADE IN TESTA UN BEL RITRATTO. 

FILA MARCO (MOSSA ACCORTA) 
SOTTO L'ARCO DELLA PORTA. 

PER NON FARE CONFUSIONE 
SPILLO LEGGE UN RIASSUNTONE 

"Nonna cosa succede? Csa vuol dire che c'è il terremoto? E' brutto il terremoto e perchè viene nelle case? Ho paura che torni questa notte!!"

Tutte queste domande mi hanno posto i miei piccoli quando ieri, 25 luglio 2011, c'è stata una scossa di terremoto che ci ha portati spaventati fuori casa! Io provo a spiegare, a rassicurare, a dire che la loro casa è robusta e subito dopo la preoccupazione: "Ma la tua com'è???"
Ho riportato qui sopra la filastrocca che serve a spiegare come comportarsi nel caso un evento così li sorprenda in casa svegli, ma mi piacerebbe poi dire loro cosa succede quando arriva la scossa:
La Terra che è una palla, nella sua pancia o nella sua testa, contiene una pappa molto bollente che non sta ferma, come succede alla pappa di Ale e di Samu, che va messa nella ciotola e presa con il cucchiaio,ma brucia MOLTO di più!!! Su questa pappa si è formata una crosta fredda fatta di terra, pietre, montagne, erba, boschi, case e mare e fiumi e laghi, sulla quale stiamo anche noi.
Quando questa pappa scivola un po' troppo, rompe anche un po' di questa crosta, dove si trova si trova ed ecco perchè noi traballiamo un po' e traballano anche le cose intorno a noi più o meno forte! A volte le case si possono anche rompere e cadono in testa a chi sta sotto e per questo è meglio proteggersi sotto un tavolo o sotto un letto...."

Durante il terremoto: 
Se sei in casa...
Mettiti al riparo sotto un tavolo per proteggerti dalla caduta di calcinacci o con le spalle poggiate contro le pareti portanti.
Non percorrere le scale.
Non uscire dall'edificio, potrebbero cadere vetri, calcinacci, cornicioni.
Non usare l'ascensore
Stai lontano dalle finestre e dalle pentole sul fuoco.
 
Se sei a scuola...
Mettiti sotto un banco.
Cerca di fare coraggio a chi ti sta vicino.
Non correre fuori dell'edificio.
Ricordati delle informazioni ricevute quando in classe avete affrontato l'argomento protezione civile
 
Se sei allo stadio, cinema, tra la folla....
Stai calmo e non muoverti, soprattutto, non cercare di scappare.
 Ricordati che il maggior pericolo è rappresentato dal panico.
Se ti trovi immerso nella folla che scappa, stringi le braccia davanti allo stomaco per garantirti il respiro e proteggere la cassa toracica.
 
Dopo la scossa...
Se incontri persone in preda a crisi di paura o leggermente ferite, ciechi, handicappati, innanzitutto contatta le strutture di protezione civile, poi cerca di consolare le persone più bisognose.
Collabora attivamente con le forze preposte all'emergenza. Riferisci loro ogni notizia certa di incendi, crolli e persone ferite.
Non usare inutilmente il telefono; le linee telefoniche devono essere utilizzate solo da chi ha bisogno di un'ambulanza o dei Vigili del Fuoco.


LA POVERA MATITA

Era una matita per scrivere, una "matita matita" come la chiamavano tutti i bimbi della classe prima, compreso il suo padroncino: Pierino Occhialetto, un bimbo con un paio di occhialini tondi, buono buono, ma un vero birbone, quando ci si metteva!
Un giorno fu tirata fuori dal portapenne, come tutte le mattine: le sue colleghe colorate avevano già subito una triste sorte: erano cadute più volte a terra e Pierino Occhialetto, aveva un bell'andare al cestino anche tre o quattro volte, almeno finchè la maestra non gli diceva "Adesso basta!" Perchè era stufa di vederlo andare al cestino a temperare: non serviva a niente: Pierino andava al cestino, temperava, temperava, ma appena appoggiava il colore sul foglio e faceva per colorare, la punta si rompeva! Eh già! La maestra l'aveva detto: "Se le matite battono a terra, la mina dentro il legno colorato, si rompe e temperare non serve più: la matita è inservibile!"
 Pierino era stato avvisato, ma che poteva farci se le matite cadevano?
Così i suoi colori diventavano di volta in volta, inservibili e la mamma di Pierino più volte la settimana, doveva sostituire i colori nel suo portapenne. Anche lei era un po' esasperata e aveva spesso minacciato il suo bimbo: "Guarda che se trovo ancora matite colorate con la mina rotta, non le sostituisco più! Ti arrangi, chiaro?"
Pierino annuiva, prometteva di stare più attento perchè temeva che la mamma prima o poi mettesse in atto la minaccia e poi, chi l'avrebbe spiegato alla maestra? Era buona, ma su queste cose era intransigente: il materiale doveva essere curato e da un po' di tempo andava dicendo che toccava ai bimbi essere attenti ad usarlo bene! Che assurdità! Non si poteva più gettare la colpa sulle mamme distratte che dimenticavano di sostituire il materiale? ma che ingiustizia!!!
Quel giorno,comunque, Pierino aveva tirato fuori la matita matita che finora non era mai caduta e stava bene, anche se, quando veniva presa in mano dal padroncino, si irrigidiva un po' per paura di fare la stessa fine delle compagne!
Insomma, proprio quel giorno, alla maestra venne in mente di spiegare un esercizio prima di dare il via all'esecuzione: si può????
E fu così che Pierino che era già pronto a scrivere con la sua bella matita, si ritrovò con quest'ultima in mano, senza poterla usare. Che farne? Cominciò a farla dondolare tra l'indice e il medio, mentre cercava di ascoltare le parole della maestra anche se non riusciva proprio a seguire bene bene. Che novità era quella? La maestra stava chiedendo loro di osservare un'immagine del libro che avevano davanti per capire cosa avrebbero dovuto fare: non si era mai comportata così!
La matita dondolava e dondolava e Pierino guardava la maestra e non il libro: avrebbe dovuto fare le due cose, ma era complicato perchè già faceva due cose: dondolava la matita e guardava la maestra! Doveva fare anche la terza cosa? Difficilissimo!!!
La matita dondolava e dondolava e piano piano scivolava dalle dita di Pierino che non se ne accorgeva. "Attento che caaaadoooo!" Gridava, ma lui non se ne accorse e così la poveretta scivolando dalle dita distratte del bimbo: TAC! Cadde a terra con un rumore neppure poi così forte! La maestra, però, sentì e si arrabbiò con il povero Pierino che non capiva proprio. Ma cos'aveva fatto di tanto grave? Disturbava di più la maestra che non la caduta della sua matita!
Si chinò mortificato a raccoglierla e neppure si accorse che lei piangeva e si lamentava : "Sono rotta! Chiamate l'ambulanza delle matite che non posso più scrivere!" Provò ad urlare, ma nessuno la sentì. Finalmente la maestra diede il Via e tutti poterono scrivere, anche Pierino che ancora non capiva la sfuriata di prima: scriveva e bene, anche! Scrisse per un po', finchè la punta non si consumò, allora si alzò, andò al cestino, temperò e temperò, poi tornò tranquillo al suo posto. Appoggiò la punta al foglio, fece per ricominciare, ma.... cosa succedeva? La punta si ruppe senza che fosse stata troppo premuta: Pierino cominciò a temere. Che fosse successo alla matita quello che succedeva ai suoi colori? E come l'avrebbe potuto spiegare alla mamma che già era un po' arrabbiata con lui? E cosa avrebbe detto la maestra? "Vedi che cosa succede ad essere distratti? Adesso che farai? Me la chiami l'ambulanza?" Provò a dire la povera matita rotta, mentre gli occhi di Pierino si riempivano di lacrime e lui cercava di pensare in fretta ad una soluzione: "Maestra" Trovò finalmente il coraggio di chiamare: "Non funziona più la mia matita..." La maestra capì al volo (le maestre, a volte, sono delle mamme brave, ma solo "a volte"), gli fornì un'altra matita, prese con delicatezza quella che Pierino le porgeva e provò lei stessa a temperare. "Sì" disse poi, " la mina si è rotta, ma forse si può usare ugualmente, intanto tieni la mia, io userò la tua e proverò a farla funzionare come dici tu. "Grazie!" dissero in coro Pierino e la matitina, ma lei sentì una sola voce e fu contenta della gratitudine del bimbo. Chissà perchè nessuno, neppure le maestre, sentono la voce delle povere matite: eppure esse sono così importanti e hanno una loro dignità! 



L'uccello d'oro
Di J. e W. Grimm

C'era una volta un re che abitava in una reggia circondata da un bellissimo giardino. In quel giardino cresceva un albero fatato, il quale a ogni estate si caricava di mele tutte d'oro massiccio. Il re era così geloso di quel tesoro, che pretendeva che ogni giorno il suo ciambellano contasse le mele per essere sicuro che nemmeno un frutto fosse stato rubato durante la notte.
Immaginarsi come rimase male il mattino in cui seppe che mancava una mela! Incollerito, pregò il suo figliolo maggiore di montare la guardia durante la notte, e il principe ubbidì.
Si munì di arco e frecce e andò a sedersi ai piedi dell'albero; ma verso mezzanotte fu colto da un gran sonno e quasi senza avvedersene si assopì. Quando riaperse gli occhi al mattino, si accorse che mancava un'altra mela.
Il re, molto contrariato, pregò allora il figlio secondogenito di vegliare presso l'albero. Ma anche questo principe si addormentò e al mattino dopo mancava una terza mela.
Allora l'ultimo figlio si offerse di fare la guardia all'albero, ma il re si dimostrò molto perplesso, perché giudicava poco intelligente questo figlio minore. Tuttavia acconsentì, e il giovane principe andò a sedersi in giardino, ai piedi dell'albero. Verso mezzanotte si sentì preso da un gran sonno, ma incominciò a darsi dei pizzicotti per rimanere sveglio. Così poté vedere un uccello meraviglioso, dalle piume tutte d'oro, che stava volando via con una mela nel becco. Subito incoccò la freccia all'arco e la scagliò; ma non riuscì a colpire l'uccello, il quale perdette soltanto una penna e sparì. Il principe rientrò nella reggia con quella penna e la mostro al re, che radunò i ministri affinché l'esaminassero tutti insieme.
- Questa penna vale un regno - decretarono i ministri .
Ma il re commentò:- In questo caso voglio l'uccello tutto intero; una penna sola non mi serve.
Il figlio maggiore si offerse di andare in cerca dell'uccello, e, ottenuto il permesso e un bel cavallo, subito si mise in viaggio. Cammina cammina, giunse in una foresta dove improvvisamente gli apparve una volpe dal pelo rosso. Subito tirò l'arco giù dalla spalla, ma la volpe gridò:
- Non uccidermi, e in compenso ti darò un buon consiglio; so che vai alla ricerca dell'uccello d'oro: ascoltami: stasera arriverai a un villaggio dove vedrai due locande. Una sarà tutta illuminata e piena di gente; l'altra ti apparirà buia e misera, ma tu sii saggio e scegli quest'ultima: altrimenti te ne pentirai.
" Una volpe che osa darmi dei consigli!" pensò il giovane sdegnosamente; e subito le lanciò contro una freccia, ma non riuscì a colpirla. Verso sera il principe giunse davvero al villaggio e vide le due locande: una illuminata e l'altra silenziosa e buia. " Perché dovrei andare in quella brutta stamberga?" pensò il giovane; e subito si diresse verso l'albergo pieno di luce dove trovò allegra compagnia; incominciò a mangiare, a bere e a giocare ai dadi, e dimenticò l'uccello d'oro e tutto il resto.
Vedendo che non tornava, il re mandò alla sua ricerca il secondo figliolo. Anche lui incontrò la volpe che gli diede lo stesso consiglio; anche lui disubbidì ed entro nella locanda chiassosa e illuminata dove trovò il fratello e molti nuovi amici; anche lui incominciò a bere e a giocare e presto dimenticò tutto quando.
Non restava che il terzo figlio, il quale si offerse di partire alla ricerca degli altri due, ma il padre esitava:
- Se si sono smarriti i tuoi fratelli così intelligenti, come riuscirai a cavartela tu, il meno sveglio di tutti?- borbottava.
Ma il ragazzo tanto disse e tanto fece che finalmente il re lo lasciò partire.
Cammina cammina, anche lui trovò la volpe rossa seduta al margine della foresta, ma nemmeno per un attimo pensò di ucciderla. Ricevette da lei il medesimo consiglio, e, poiché era umile e non considerava con disprezzo le parole di nessuno, ubbidì e andò dritto filato alla locanda buia.
Al mattino dopo, uscendo dal villaggio, incontrò ancora la volpe che gli disse:
- Tra non molto arriverai a un castello dove vedrai molti soldati addormentati. Passa in mezzo a loro senza paura, attraversa tutte le stanze: nell'ultima troverai l'uccello d'oro chiuso in una gabbia di legno. Prendilo e portalo via, ma non toccare l'altra gabbia che vedrai, tutta d'oro massiccio! E ora monta sulla mia coda.
Incominciarono a viaggiare con la velocità del vento e in un baleno furono davanti al castello. Il giovane entrò, passò di sala in sala, fino a quando giunse nell'ultima e vide le tre mele d'oro e l'uccello d'oro chiuso in una gabbia di legno.
Accanto ve n'era un'altra d'oro massiccio. " Perché dovrei lasciare questo magnifico uccello in quella gabbia sudicia e rozza? " pensò il giovane, e mise l'uccello nella gabbia d'oro, ma subito l'animale lanciò uno strido tanto acuto che i soldati si svegliarono, afferrarono il giovane e lo condussero davanti al re.
- Meriteresti la morte - disse il re - tuttavia ti perdonerò e ti regalerò l'uccello d'oro se mi porterai il cavallo d'oro che galoppa più veloce del vento.
Il giovane si considerò fortunato, ringrazio il re e uscì dal castello; ma non sapeva quale direzione dovesse prendere.
Per fortuna, dopo aver fatto pochi passi, incontrò la sua amica volpe.
- Meriteresti che ti abbandonassi - disse la volpe- ma ti voglio bene e ti aiuterò ancora. Sali sulla mia coda e io ti porterò fino al castello dove vive il cavallo d'oro. Nella sua scuderia vedrai molti garzoni addormentati, i quali non si sveglieranno. Troverai anche due selle: una d'oro, e una di cuoio; sella il cavallo con quest'ultima e non toccare quella d'oro.
Il giovane promise di ubbidire; salì sulla coda della volpe e viaggiarono veloci come il vento; giunto al castello il principe entrò e vide il cavallo d'oro; ma al momento di sellarlo non seppe resistere alla tentazione, e gli mise sulla groppa la sella d'oro. Immediatamente il cavallo lanciò un alto nitrito, i garzoni si svegliarono, afferrarono il principe e lo condussero davanti al re.
- Dovrei tagliarti la testa- gli disse il re. - Ma ti perdonerò e ti darò anche il cavallo , se mi porterai la principessa del castello d'oro -
Uscito, il giovane incontrò di nuovo la volpe :
- Sei proprio disubbidiente ! - esclamò l'animale.- Doveri lasciarti alle tue disgrazie, ma ti voglio bene e ti aiuterò. Quando arriverai al castello d'oro ti nasconderai nel giardino e aspetterai che venga buio, perché è soltanto di notte che la principessa va a fare il bagno. Non appena uscirà di casa l'avvicinerai e le darai un bacio. Ella verrà con te...Ma non permettere che vada a salutare i suoi genitori, prima di partire, altrimenti avrai di che pentirti.
Protese la coda e il giovane montò a cavalcioni: e prima di sera erano giunti al castello d'oro. Il principe si nascose nel giardino e aspetto fino a mezzanotte; a quell'ora il portone del castello si aperse e la principessa uscì.
Era bella come un angelo; il giovane le si avvicinò e le baciò sulla guancia. La fanciulla gli sorrise e disse:
- Verrò dove tu vorrai, ma lasciami salutare i miei genitori.
Il principe, che ricordava le raccomandazioni della volpe, rispose di no, di no, ma la fanciulla lo pregava a mani giunte, e si inginocchiò ai suoi piedi piangendo.
Vedendola così angosciata egli non seppe più resistere e finalmente acconsentì. Ma la principessa era appena entrata nella camera di suo padre che il re si risvegliò, chiamò le guardie e fece arrestare il giovanotto.
- Meriti la morte - gli disse. - Tuttavia ti perdonerò se toglierai quella montagna che sorge davanti alle mie finestre. Ma devi far questo entro otto giorni. Se avrai eseguito quando ti chiedo, a nono giorno sarai libero, e ti darò anche mia figlia in moglie, altrimenti ti faro tagliare la testa.
Il principe non aveva la minima speranza di riuscire quell'impresa; tuttavia prese un badile e incominciò a spalare la terra. Lavorava giorno e notte, ma al termine dell'ottavo giorno la montagna sembrava più alta di prima.
Allora sedette a terra sconsolato. In quel momento gli apparve la volpe.
- Non meriti che io ti aiuti ancora - gli disse la buona bestia - Ma non posso dimenticare che tu non hai teso il tuo arco contro di me, quando mi hai incontrato al limite della foresta, come invece hanno fatto i tuoi fratelli. Riposati e dormi: al resto penserò io.
Il giovane si addormentò subito, e quando aperse gli occhi al mattino vide che la montagna era sparita. Felice corse dal re ad annunciargli che il lavoro era compiuto, e questi permise al giovane e alla figlia di partire. Salirono insieme in groppa a un cavallo, erano in viaggio da poco, quando si accorsero che la volpe galoppava a loro fianco.
- Hai avuto il premio più bello - disse l'animale, - ma devi conquistare anche il cavallo d'oro che appartiene alla principessa.
- Come posso impadronirmene?
- Conduci la principessa davanti al re che ti aveva mandato al castello d'oro ed egli ti consegnerà il cavallo. Monta in sella, poi saluta i presenti stringendo a tutti la mano: ma lascia la principessa per ultima. Quando avrai nella tua la mano di lei, tirala in groppa e sprona. Nessuno potrà raggiungervi perché il cavallo galoppa come il vento.
Il principe ubbidì: giunse al castello del re e fece tutto quando la volpe gli aveva suggerito. Poco dopo i due principi erano di nuovo in viaggio in groppa al cavallo d'oro. A un tratto si accorsero che la volpe galoppava ancora al loro fianco.
- Adesso devi prendere anche l'uccello d'oro - disse . - Quando giungerai al castello di quel re, nascondi la principessa in un boschetto vicino, poi entra nel cortile. Il re ti farà consegnare la gabbia, e allora sprona: nessuno ti raggiungerà più.
Il giovane fece come la volpe gli aveva detto, e poco dopo i principi volavano come il vento sul cavallo d'oro e la volpe galoppava al loro fianco.
- Adesso dovresti ricompensarmi per l'aiuto che ti ho dato - esclamò.
- Farò tutto ciò che vorrai !- disse il principe pieno di riconoscenza.
- Ebbene, voglio che tu mi uccida e che mi tagli la testa e le zampe.
- Non lo farò mai!
- In questo caso dovrò lasciarti - commentò la volpe, ma prima voglio darti un ultimo consiglio: non comperare carne da patibolo, e non sederti sull'orlo di un pozzo - Quindi sparì.
Il giovane scosse la testa:
- Che strano consiglio! - esclamò. - Perché mai dovrei comprare carne da patibolo? E non capisco nemmeno perché dovrei sedermi sull'orlo di un pozzo!
Continuarono a galoppare e finalmente giunsero al villaggio che il principe aveva già attraversato e dove i suoi fratelli erano rimasti a bere e a giocare. Giunti nella piazza principale videro che vi era stato eretto un patibolo, e che un corteo si stava avvicinando per accompagnare alla morte due condannati.
Con orrore il giovane riconobbe che si trattava dei suoi fratelli i quali, sperperato tutto il loro denaro, avevano commesso diversi furti per procurarsene dell'altro.
- E' possibile perdonarli e liberarli? - chiese al giudice.
- Si, se voi risarcite il danno pagando per loro.
Senza esitare il giovane consegnò al giudice tutto il denaro che possedeva e i due fratelli furono liberati. Ripresero tutti insieme e poco dopo giunsero alla foresta dove avevano incontrato la volpe.
- Fermiamoci qui - proposero i due fratelli. - Facciamo uno spuntino mentre ci riposiamo un poco.
Il principe acconsentì; scese da cavallo e senza pensarci sedette proprio sull'orlo di un pozzo.
Mangiavano e chiacchieravano, quando uno dei fratelli gli diede un colpo a tradimento e lo fecero cadere nel fondo. Poi i due malvagi si rivolsero alla principessa e le dissero:
- Tu verrai con noi al castello di nostro padre. Gli dirai che abbiamo conquistato il cavallo d'oro, l'uccello d'oro e te: se tu dirai la verità ti uccideremo -
La principessa non rispose, ma divenne pensierosa e triste. Ripresero il viaggio, in breve giunsero al castello e il re li accolse con grandi feste.
- Non solo ti riportiamo le tre mele che mancano all'albero - gli dissero - ma anche l'uccello d'oro, un cavallo d'oro e la figlia del re del castello d'oro.
Il re, tutto fiero di avere due figli tanto valorosi, ordinò danze e banchetti, e mostrava agli invitati l'uccello, il cavallo e la bellissima principessa.
Ma l'uccello non cantava, il cavallo non voleva mangiare e la principessa piangeva e sospirava.
Intanto il fratello minore giaceva in fondo al pozzo tutto stordito, ma vivo.
Il pozzo infatti non era molto profondo ed era senz'acqua. Il poveretto aveva cercato di arrampicarsi su per le pareti, ma esse erano troppo ripide e scivolose. Stava quasi per disperarsi quando vide affacciarsi all'orlo del pozzo la volpe.
- Ti voglio aiutare ancora una volta - gli disse. - Attaccati saldamente alla mia coda. Adesso torna a casa, dove la tua fidanzata ti aspetta - aggiunse la volpe appena il giovane fu uscito dal pozzo. - Ma bada che i tuoi fratelli hanno disseminato nel bosco molte spie. Essi non sono sicuri che tu sia morto, perciò i loro servi hanno l'incarico di ucciderti.
Il principe ringraziò e si incamminò verso casa con molta preoccupazione; poco dopo incontrò un mendicante, gli propose di scambiare gli abiti. L'altro ne fu contento, e il principe, camuffato da straccione, poté arrivare al castello del re senza che alcuno lo riconoscesse.
Ma, non appena entrò nel cortile, l'uccello si mise a gorgheggiare, il cavallo a scalpitare e la principessa a ridere e battere le mani.
- Perché tutto questo cambiamento? - chiese il re tutto sorpreso.
- Non so - rispose la fanciulla - Ma io, che ero triste, ora mi sento allegra come se il mio vero sposo fosse arrivato. E senza più paura raccontò tutto quando era successo.
Allora il re comandò che tutti gli abitanti del castello si adunassero alla sua presenza, e fra gli altri si presentò anche il giovane mendicante. Non appena lo vide, la principessa gli si gettò fra le braccia, l'uccello gli volò sulla spalla e il cavallo venne a strofinargli il muso sulle mani.
Il re allora ordinò che i due cattivi fratelli fossero messi in prigione e abbraccio con trasporto il suo figlio minore che si era dimostrato il migliore di tutti.
Poi vennero celebrate le nozze. Tuttavia il principe non dimenticava mai la volpe che lo aveva tanto beneficato.
Un giorno, mentre insieme a sua moglie andava a caccia nel bosco, se la vide comparire davanti. Aveva l'aspetto avvilito e piangeva.
- Tu hai ottenuto tutto ciò che desideravi - gli disse - invece le mie disgrazie non hanno mai fine. Ti supplico, tagliami la testa e le zampe !
Il principe non voleva, ma ricordò che le parole della sua amica volpe erano state sempre veritiere, e i suoi consigli sempre saggi. Si fece coraggio, tolse la spada dal fodero, e con un solo colpo decapitò il buon animale: poi gli tagliò anche le zampe.
Non appena ebbe fatto questo al posto della volpe comparve un bellissimo giovane che gli tese le mani sorridendo.
- Sono il fratello della tua sposa - spiegò - un incantesimo mi aveva mutato in volpe, e non potevo essere liberato che così.
Anche la principessa lo abbracciò, e da quel giorno tutti vissero felici e contenti.
raccolta dei fratelli Grimm

POLLICINO
http://www.youtube.com/watch?v=dlPbfEY9cEQ&feature=colike

HANSEL E GRETEL

Hänsel e Gretel

Hänsel e Gretel
Immagine:
Fiaba dei fratelli Grimm - KHM 015

Davanti a un gran bosco abitava un povero taglialegna che non aveva di che sfamarsi; riusciva a stento a procurare il pane per sua moglie e i suoi due bambini: Hänsel e Gretel. Infine giunse un tempo in cui non pot‚ più provvedere neanche a questo e non sapeva più a che santo votarsi. Una sera, mentre si voltava inquieto nel letto, la moglie gli disse: "Ascolta marito mio, domattina all'alba prendi i due bambini, dai a ciascuno un pezzetto di pane e conducili fuori in mezzo al bosco, nel punto dov'è più fitto; accendi loro un fuoco, poi vai via e li lasci soli laggiù. Non possiamo nutrirli più a lungo." - "No moglie mia" disse l'uomo "non ho cuore di abbandonare i miei cari bambini nel bosco, le bestie feroci li sbranerebbero subito." - "Se non lo fai," disse la donna, "moriremo tutti quanti di fame." E non lo lasciò in pace finché‚ egli non acconsentì.

Anche i due bambini non potevano dormire per la fame, e avevano sentito quello che la madre aveva detto al padre. Gretel pensò che per loro fosse finita e incominciò a piangere amaramente, ma Hänsel disse: "Stai zitta Gretel, non ti crucciare, ci penserò io." Si alzò, si mise la giacchettina, aprì l'uscio da basso e sgattaiolò fuori. La luna splendeva chiara e i ciottoli bianchi rilucevano come monete nuove di zecca. Hänsel si chinò, ne ficcò nella taschina della giacca quanti pot‚ farne entrare e se ne tornò a casa. "Consolati Gretel e riposa tranquilla," disse; si rimise di nuovo a letto e si addormentò.

Allo spuntar del giorno, ancor prima che sorgesse il sole, la madre venne e li svegliò entrambi: "Alzatevi bambini, vogliamo andare nel bosco; qui c'è un pezzetto di pane per ciascuno di voi, ma siate saggi e conservatelo per mezzogiorno." Gretel mise il pane sotto il grembiule perché‚ Hänsel aveva le pietre in tasca, poi si incamminarono verso il bosco. Quando ebbero fatto un pezzetto di strada: Hänsel si fermò e si volse a guardare la casa; così fece per più volte. Il padre disse: "Hänsel, che cos'è che ti volti a guardare e perché‚ ti fermi? Su, muoviti!" - "Ah, babbo, guardo il mio gattino bianco che è sul tetto e vuole dirmi addio." Disse la madre: "Ehi, sciocco, non è il tuo gattino, è il primo sole che brilla sul comignolo." Hänsel però non aveva guardato il gattino, ma aveva buttato ogni volta sulla strada uno dei sassolini lucidi che aveva in tasca.

Quando giunsero in mezzo al bosco, il padre disse: "Ora raccogliete legna, bambini, voglio accendere un fuoco per non gelare." Hänsel e Gretel raccolsero rami secchi e ne fecero un mucchietto. Poi accesero il fuoco e quando la fiamma si levò alta, la madre disse: "Adesso stendetevi accanto al fuoco e dormite, noi andiamo a spaccare legna nel bosco; aspettate fino a quando non torniamo a prendervi."

Hänsel e Gretel rimasero accanto al fuoco fino a mezzogiorno, poi ciascuno mangiò il proprio pezzetto di pane. Credevano che il padre fosse ancora nel bosco perché‚ udivano i colpi d'accetta; invece era un ramo che egli aveva legato a un albero e che il vento sbattéva di qua e di là. Così attesero fino a sera, ma il padre e la madre non tornavano e nessuno veniva a prenderli. Quando fu notte fonda Gretel incominciò a piangere, ma Hänsel disse: "Aspetta soltanto un poco, finché‚ sorga la luna." E quando la luna sorse, prese Gretel per mano; i ciottoli brillavano come monete nuove di zecca e indicavano loro il cammino. Camminarono tutta la notte e quando fu mattina giunsero alla casa patema. Il padre si rallegrò di cuore quando vide i suoi bambini, poiché‚ gli era dispiaciuto doverli lasciare soli; la madre finse anch'essa di rallegrarsi, ma segretamente ne era furiosa.

Non passò molto tempo e il pane tornò a mancare in casa, e Hänsel e Gretel udirono una sera la madre che diceva al padre: "Una volta i bambini hanno ritrovato il cammino e io ho lasciato correre: ma adesso non c'è di nuovo più niente, rimane solo una mezza pagnotta in casa; devi condurli domani più addentro nel bosco, perché‚ non ritrovino la strada: per noi non c'è altro rimedio." L'uomo si sentì stringere il cuore e pensò: "Sarebbe meglio se dividessi l'ultimo boccone con i tuoi bambini." Ma siccome aveva già ceduto una volta, non pot‚ dire di no.

Quando i bambini ebbero udito quel discorso, Hänsel si alzò per raccogliere di nuovo i ciottoli, ma quando giunse alla porta, la madre l'aveva chiusa. Tuttavia consolò Gretel e disse: "Dormi, cara Gretel, il buon Dio ci aiuterà."

Allo spuntar del giorno ebbero il loro pezzetto di pane, ancora più piccolo della volta precedente. Per strada Hänsel lo sbriciolò in tasca; si fermava sovente e gettava una briciola per terra. "Perché‚ ti fermi sempre, Hänsel, e ti guardi intorno?" disse il padre. "Cammina!" - "Ah! Guardo il mio piccioncino che è sul tetto e vuole dirmi addio." - "Sciocco," disse la madre, "non è il tuo piccione, è il primo sole che brilla sul comignolo." Ma Hänsel sbriciolò tutto il suo pane e gettò le briciole per via.

La madre li condusse ancora più addentro nel bosco, dove non erano mai stati in vita loro. Là dovevano di nuovo sedere accanto al fuoco e dormire e alla sera i genitori sarebbero venuti a prenderli. A mezzogiorno Gretel divise il proprio pane con Hänsel, che aveva sparso tutto il suo per via. Ma passò mezzogiorno e passò anche la sera senza che nessuno venisse dai poveri bambini. Hänsel consolò Gretel e disse: "Aspetta che sorga la luna: allora vedrò le briciole di pane che ho sparso; ci mostreranno la via di casa." La luna sorse, ma quando Hänsel cercò le briciole non le trovò: i mille e mille uccellini del bosco le avevano viste e le avevano beccate. Hänsel pensava di trovare ugualmente la via di casa e si portava dietro Gretel, ma ben presto si persero nel grande bosco; camminarono tutta la notte e tutto il giorno, poi si addormentarono per la gran stanchezza. Poi camminarono ancora tutta una giornata, ma non riuscirono a uscire dal bosco, e avevano tanta fame, perché‚ non avevano nient'altro da mangiare che un po' di bacche trovate per terra.

Il terzo giorno, quand'ebbero camminato fino a mezzogiorno, giunsero a una casina fatta di pane e ricoperta di focaccia, con le finestre di zucchero trasparente. "Ci siederemo qui e mangeremo a sazietà," disse Hänsel. "Io mangerò un pezzo di tetto; tu, Gretel, mangia un pezzo di finestra: è dolce." Quando Gretel incominciò a rosicchiare lo zucchero, una voce sottile gridò dall'interno:
"Chi mi mangia la casina
zuccherosa e sopraffina?"
I bambini risposero:
"E' il vento che piega ogni stelo,
il bel bambino venuto dal cielo."
E continuarono a mangiare. Gretel tirò fuori tutto un vetro rotondo e Hänsel staccò un enorme pezzo di focaccia dal tetto. Ma d'un tratto la porta della casa si aprì e una vecchia decrepita venne fuori piano piano. Hänsel e Gretel si spaventarono tanto che lasciarono cadere quello che avevano in mano. Ma la vecchia scosse il capo e disse: "Ah, cari bambini, come siete giunti fin qui? Venite dentro con me, siete i benvenuti." Prese entrambi per mano e li condusse nella sua casetta. Fu loro servita una buona cena, latte e frittelle, mele e noci; poi furono preparati due bei lettini bianchi, e Hänsel e Gretel si coricarono e pensavano di essere in Paradiso.

Ma la vecchia era una strega cattiva che attendeva con impazienza l'arrivo dei bambini e, per attirarli, aveva costruito la casetta di pane. Quando un bambino cadeva nelle sue mani, lo uccideva, lo cucinava e lo mangiava; e per lei quello era un giorno di festa. Era proprio felice che Hänsel e Gretel fossero capitati lì. Di buon mattino, prima che i bambini fossero svegli, ella si alzò, andò ai loro lettini, e quando li vide riposare così dolcemente, si rallegrò e mormorò fra sì: "Saranno un buon bocconcino per me!" Poi afferrò Hänsel e lo rinchiuse in una stia. Quando questi si svegliò, si trovò circondato da una grata, come un pollo da ingrassare, e poteva fare solo pochi passi. Poi la vecchia svegliò Gretel con uno scossone e le gridò: "Alzati, poltrona, prendi dell'acqua e vai in cucina a preparare qualcosa di buono; tuo fratello è là nella stia e voglio ingrassarlo per poi mangiarmelo; tu devi dargli da mangiare." Gretel si spaventò e pianse, ma dovette fare quello che voleva la strega.

Ora ad Hänsel venivano cucinati ogni giorno i cibi più squisiti, poiché‚ doveva ingrassare; Gretel invece non riceveva altro che gusci di gambero. Ogni giorno la vecchia veniva e diceva: "Hänsel, sporgi le dita, che senta se presto sarai grasso." Ma Hänsel le sporgeva sempre un ossicino ed ella si meravigliava che non volesse proprio ingrassare. Dopo quattro settimane, una sera disse a Gretel: "Vai a prendere dell'acqua, svelta; grasso o magro che sia, domani ammazzerò il tuo fratellino e lo cucinerò; nel frattempo mi metterò a impastare il pane da cuocere nel forno." Con il cuore grosso, Gretel portò l'acqua nella quale doveva essere cucinato Hänsel. Dovette poi alzarsi di buon mattino, accendere il fuoco e appendere il paiolo pieno d'acqua. "Ora fa' attenzione," disse la strega. "Accendo il fuoco nel forno per cuocere il pane." Gretel era in cucina e piangeva a calde lacrime mentre pensava: "Ci avessero divorato le bestie feroci nel bosco! Almeno saremmo morti insieme senza dover sopportare questa pena, e io non dovrei far bollire l'acqua che deve servire per la morte di mio fratello. Buon Dio, aiuta noi, miseri bambini!"

La vecchia gridò: "Gretel, vieni subito qui al forno!" e quando Gretel arrivò, disse: "Dai un'occhiata dentro se il pane è ben cotto e dorato; i miei occhi sono deboli e io non arrivo a vedere fin là. E se anche tu non ci riesci, siediti sull'asse: ti spingerò dentro, così potrai controllare meglio." Ma la perfida strega aveva chiamato Gretel perché‚ pensava, una volta spintala dentro al forno, di chiuderlo e di farla arrostire per mangiarsi pure lei. Ma Dio ispirò alla fanciulla un'idea, ed ella disse: "Non so proprio come fare, fammi vedere tu per prima: siediti sull'asse e io ti spingerò dentro." La vecchia si sedette e, siccome era leggera, Gretel pot‚ spingerla dentro, il più in fondo possibile; poi chiuse in fretta la porta e mise il paletto di ferro. Allora la vecchia incominciò a gridare e a lamentarsi nel forno bollente, ma Gretel scappò via, ed ella dovette bruciare miseramente.

Gretel corse da Hänsel, gli aprì la porticina e gridò: "Salta fuori, Hänsel, siamo liberi!" Allora Hänsel saltò fuori, come un uccello quando gli aprono la gabbia. Ed essi piansero di gioia e si baciarono. Tutta la casetta era piena di perle e di pietre preziose: essi se ne riempirono le tasche e se ne andarono in cerca della via che li riconducesse a casa. Ma giunsero a un gran fiume che non erano in grado di attraversare. Allora la sorellina vide un'anatrina bianca nuotare di qua e di là.

E le gridò:
"Ah,
cara anatrina,
prendici
sul tuo dorso."
Udite queste parole, l'anatrina si avvicinò nuotando e trasportò prima Gretel e poi Hänsel dall'altra parte del fiume. Dopo breve tempo ritrovarono la loro casa: il padre si rallegrò di cuore quando li rivide, poiché‚ non aveva più avuto un giorno di felicità da quando i suoi bambini non c'erano più. La madre invece era morta. Ora i bambini portarono ricchezze a sufficienza perché‚ non avessero più bisogno di procurarsi il necessario per vivere.

FINE

IL GATTO CON GLI STIVALI

http://youtu.be/KSCYRg1mcRw


MAGO SALES


http://www.youtube.com/watch?v=hENSucqwRVc&feature=colike


PIERINO E IL LUPO
http://youtu.be/prI9mAuuejA


IL DRAGO RILUTTANTE


http://youtu.be/xcAdi52xCYo
http://youtu.be/Rri9WF8OxhY


I Mici

Successe quello che speravamo non succedesse mai!
Le gattine, Minou e Milou, ormai avanti negli anni, morirono a distanza di pochi giorni una dall'altra!
Che tristezza! Al funerale di entrambe parteciparono i quattro principini vicini di casa, per gli altri due sarebbe stata una grossa complicazione! 
Le gattine furono messe in una scatola, prima l'una e poi l'altra, poi nonno scavò una buca nell'aiuola e le mise una per volta, ricoprendole poi con la terra. I bimbi le carezzarono ancora una volta, poi le videro andare sottoterra: avrebbero messo tanti fiorellini, in primavera, sulle loro tombe che erano vicine!
"Ciao gattine! Presto avremo altri micetti, piccoli da coccolare,ma non vi dimenticheremo e ricorderemo sempre i giochi che facevamo quando, entrando in casa dei nonni venivamo a cercarvi per farvi una carezza e tu Minou stavi sul letto con qualche nonno che ti teneva le zampine nervose che volevano tanto colpirci per avvertirci di non disturbare troppo, mentre Milou, tu correvi a nasconderti sotto il letto e noi ci chinavamo a cercarti, era così divertente!" Addio gattine! Correte libere nel Cielo dei gatti....
Alessandra e Samuele, i due principini più piccoli, quando arrivavano a casa dei nonni cercavano Minou e Milou e chiedevano: "Dov'è Minou?" "Dov'è Milou?" Ricevevano,però, sempre, la medesima risposta: "Minou e Milou sono morte, sono nel buco, ricordate?" Ogni volta così finchè i nonni si decisero a prendere due nuovi gattini che vennero subito battezzati (prima di essere visti): Pallino e Lulù.
Quando nonna li portò a casa nel trasportino si fermò in cortile con i bimbi. Che bei gattini!!!! Peccato che fossero tanto spaventati: si rifugiavano al fondo del trasportino e non volevano farsi prendere! Chissà poi perchè? In realtà i bimbi volevano poi solo spremerli un po' con le loro manine! Niente di più! Perchè quei due biricchini non volevano giocare? Eppure erano cuccioli anche loro, come i bimbi! 
I quattro principini li lasciarono portare in casa da nonna un po' a malincuore mentre i due principini più lontani li vennero a trovare qualche giorno dopo. I principini vicini non li lasciavano mica stare! E "Dove sono i gattini?" E "Cosa fanno adesso?" E "Ce li fai vedere?" Non la smettevano più e i due cuccioletti erano sempre più spaventati. Avevano una paura matta di farsi prendere in braccio per poi essere portati sul balcone e sporti in là per essere "schiacciati" dalle manine di quei principini birboni! Tanto spaventati erano che si andavano a nascondere non appena vedevano qualcuno che camminava in casa, ma non rinunciarono a combinare guai! Saltavano dovunque, tiravano tutto giù e bucavano tutto con i loro dentini e con le loro unghiette! Si cercavano e si difendevano a vicenda: Pallino era beige e bellissimo con un bel pelo lungo. Era più grosso di Lulù: grigia, nera, bianca e un po' marroncina con una mascherina grigia che la faceva sembrare un po'....Zorro, diceva nonna....


L’ALBERO A COLORI

L’albero che voglio dire
Ha colori a non finire
Per i bimbi che nel mondo
Si mettono tutti in tondo
Lo circondano con le manine
Strette tra loro come cordine.
E l’albero è nero
E l’albero è bianco
È tutto rosa, è azzurro, è un po’ stanco.
E’ come un grande arcobaleno
Che tende i rami al cielo sereno
L’albero del mondo
Ha le foglie ed è tondo
Per farci stare tutti
Tutti i belli e tutti i brutti
Tra i suoi rami verdeggianti
Stiamo bene tutti quanti!

Nessun commento:

Posta un commento